Di Shanta Roy
NEW YORK (IDN) – Nonostante fosse stato annunciato come un meeting di alto livello per tutti i leader politici del mondo, il tanto pubblicizzato Climate Action Summit, che si è tenuto il 23 settembre presso le Nazioni Unite, non è cominciato nel migliore dei modi.
Malgrado i disperati avvertimenti del segretario generale dell’ONU, António Guterres, riguardo un’imminente “emergenza climatica”, che porterà uragani, siccità, alluvioni e ondate di calore, al summit si sono presentati solo sessantaquattro rappresentanti, per lo più capi di governo e di stato.
Erano assenti anche 129 dei 193 membri dell’ONU a questo storico evento, necessario per studiare strategie per contrastare il riscaldamento globale e, soprattutto, fornire una piattaforma per prendere impegni concreti al fine di ridurre le emissioni di anidride carbonica e aumentare i fondi per la continua lotta contro il cambiamento climatico.
È stato rilevato che i cinque paesi che producono la maggior quantità di diossido di carbonio sono la Cina, gli Stati Uniti, l’India, la Russia e il Giappone, ma sia gli Stati Uniti, sia il Giappone non sono stati presenti a questo incontro.
Riassumendo i risultati del summit, Winnie Byanyima, direttrice esecutiva di Oxfam International ha messo in guardia: “Questa serie di risultati del Climate Action Summit, per lo più deludenti, rende ancora più importante la prossima COP25 (che dovrebbe tenersi in Cile dal 2 al 13 dicembre 2019) e la COP26 a Glasgow, nel Regno Unito (verso la fine del 2020), dove i leader avranno un’altra possibilità di dimostrare il loro impegno o deludere ancora una volta. Non possiamo continuare a rimandare queste decisioni, il tempo stringe.”
Alla domanda se ci siano state promesse e azioni concrete al summit, il dr. Richard J. Ponzio, direttore di Just Security 2020 e professore emerito al Stimson Center, un centro apartitico di analisi politica con sede a Washington DC, ha risposto a IDN dicendo che, benché alcuni stati (Germania e Qatar) abbiano preso nuovi e significativi impegni finanziari, in generale i paesi con le maggiori emissioni non si sono impegnati ad affrontare le sfide necessarie per avere buone probabilità di raggiungere gli obiettivi fissati durante gli Accordi di Parigi.
Ha continuato dicendo che, nonostante l’ondata di preoccupazione da parte delle persone di tutto il mondo riguardo la crisi climatica, i cui movimenti di protesta sono guidati da studenti e giovani attivisti, solo pochi leader mondiali sono disposti a impegnarsi ad attuare significative riforme economiche e strutturali e fornire al settore privato gli incentivi e i disincentivi necessari per azzerare le emissioni complessive di anidride carbonica entro il 2050.
Quando gli è stato chiesto qual è il suo parere sul futuro, il dr. Ponzio ha detto che nonostante le migliori intenzioni dei leader mondiali, comprese quelle del segretario generale dell’ONU Guterres, “il nostro sistema di governance climatica non sembra essere all’altezza del compito di mantenere il riscaldamento globale sotto la soglia dei 2°C, tanto meno quella dell’1,5 raccomandata dalla maggior parte degli scienziati”.
Il dr. Ponzio ha aggiunto che, proprio come nel 1945 l’ONU stesso fu un’innovazione nella governance globale rispetto al suo fallimentare predecessore, la Società delle Nazioni, così oggi il mondo ha nuovamente bisogno di una profonda revisione dell’ONU e dell’azione collettiva a livello globale, per affrontare la sfida del cambiamento climatico che è ormai fuori controllo.
Andrew Norton, direttore dell’International Institute for Environment and Development (IIED), ha espresso la sua opinione sul summit dicendo che non è stato fatto abbastanza.
Ha detto che gli studi scientifici parlano chiaro e non possiamo superare l’1,5°C di riscaldamento: è giunto il momento di dimenticare la soglia dei 2°C.
Nonostante fosse un’opportunità decisiva per tutti i leader mondiali per dimostrare di aver ricevuto il messaggio e impegnarsi a prendere azioni che riflettano l’urgenza che il cambiamento climatico richiede, molti governi ricchi e storicamente responsabili sono venuti meno, ha accusato Norton.
Ha inoltre sottolineato che i quarantasette paesi meno sviluppati, descritti come i più poveri fra i poveri, hanno dimostrato vera leadership, prendendo impegni risoluti per iniziare un percorso contro i cambiamenti climatici entro il 2030 e azzerare le emissioni complessive entro il 2050.
Ha continuato dicendo che, nonostante siano state annunciate centinaia di iniziative, accompagnate da miliardi di dollari in fondi, la maggior parte di queste non risponde alle esigenze delle persone che vivono nelle zone più vulnerabili a livello climatico, bensì è guidata da partner e donatori internazionali.
“Nonostante molti paesi ricchi si siano impegnati a raddoppiare i finanziamenti per il Green Climate Fund, affinché questa iniziativa possa essere davvero efficace deve includere anche riforme radicali, per far sì che i soldi siano investiti a livello locale e i paesi più poveri vi possano accedere direttamente.
“C’è molto da fare da qui fino al 2020. I leader devono rimboccarsi le maniche e rivedere i loro programmi entro e non oltre la fine del 2020, quando si terrà il summit ONU sul clima a Glasgow.”
Ha aggiunto che i governi devono garantire che ogni politica presa, incluse quelle per i soccorsi, il commercio e l’agricoltura, sia in linea con la lotta al cambiamento climatico. Con gli attuali impegni nazionali, la temperatura a livello mondiale aumenterà di ben 3°C prima della fine del secolo, con conseguenze catastrofiche.
“Le voci dei giovani non sono state ancora ascoltate dai potenti e i risvolti indicati dagli studi scientifici non sono stati recepiti. I leader devono fare di più e più velocemente e il prossimo anno non deve essere sprecato.”
Iain Keith, direttore di campagna per Avaaz, un movimento globale che consente alle persone di affrontare crisi a livello mondiale, ha raccontato a IDN la sua opinione sui risultati: “La presa di responsabilità nei confronti del cambiamento climatico sta aumentando. Milioni di ragazzi protestano con coraggio fuori dalle scuole, l’ONU mette alla prova i suoi membri e le popolazioni indigene lottano contro gli incendi nell’Amazzonia.”
Ha continuato dicendo che tutti nel mondo vogliono che siano presi provvedimenti contro il cambiamento climatico adesso. Anche se ci vuole coraggio per fare il primo passo in un nuovo percorso, i leader dei paesi più inquinanti devono trovare questo coraggio o essere spinti da quindicenni.”
“Ci sono molti impegni nuovi, ma mancano programmi chiari per mantenere il riscaldamento globale sotto i 2°C indicati a Parigi. Se guardiamo questi risultati rispetto a quelli di Parigi, il seguente progresso dimostra che sono stati fatti passi importanti nella giusta direzione, ma rispetto all’ultima analisi dell’IPCC sulla soglia di 1,5°C, abbiamo ancora un grande e ambizioso divario da colmare” ha aggiunto.
Secondo il segretario generale Guterres, il summit ha portato a diverse iniziative positive.
“Vorrei parlarne di alcune più approfonditamente” ha detto alla fine del meeting.
Ha sottolineato che settantasette paesi, molti dei quali industrializzati, si sono impegnati ad azzerare le emissioni di anidride carbonica entro il 2050. A questi, si sono unite dieci regioni e più di cento città, tra cui molte delle più grandi al mondo.
Settanta paesi hanno annunciato che aumenteranno i loro Contributi Nazionali Determinati entro il 2020, mentre più di cento leader nel settore privato si sono impegnati ad accelerare il loro spostamento verso la green economy.
Più di duemila città si sono impegnate a mettere la crisi climatica al centro delle loro politiche, creando mille progetti urbani bancabili in favore dell’ambiente.
Oggi molti paesi di tutto il mondo, dal Pakistan al Guatemala, dalla Colombia alla Nigeria, dalla Nuova Zelanda a Barbados, hanno preso importanti impegni per piantare più di undici miliardi di alberi.
Un gruppo formato dai maggiori azionisti, responsabili del movimento di più di due trilioni di dollari, si è impegnato a passare a portafogli di investimento a emissioni zero entro il 2050.
Ha continuato dicendo che le Banche di Sviluppo Multilaterali e Nazionali hanno aumentato i loro impegni, mentre l’International Development Finance Club ha annunciato che mobiliterà un trilione di dollari verso i fondi per l’energia pulita entro il 2025 in venti paesi fra quelli meno sviluppati.
Il Club, inoltre, promuoverà anche l’azzeramento delle emissioni di CO2, riducendo i combustibili fossili nei portafogli e definendo strategie di uscita dai finanziamenti per il carbone.
Centotrenta banche, un terzo del settore bancario mondiale, si sono impegnate ad allineare le loro attività con gli obiettivi degli Accordi di Parigi e quelli di sviluppo sostenibile.
Tutto ciò si unisce alla forte chiamata dei gestori patrimoniali, che rappresentano quasi metà del capitale investito al mondo, circa trentaquattro trilioni di dollari: vogliono azioni immediate contro il cambiamento climatico e chiedono ai leader mondiali di mettere un prezzo significativo sul carbone ed eliminare progressivamente i sussidi per i carburanti fossili e l’energia da centrali termiche a carbone in tutto il mondo. [IDN-InDepthNews – 25 settembre 2019]
Crediti fotografici: unfccc.int.